La superstizione fa compiere alle persone cose strane: toccare legno, o ferro, evitare gatti neri o passare sotto scale aperte, e spesso anche chi razionalmente si rende conto che questi gesti non hanno davvero un effetto e un legame con il verificarsi o meno di certi eventi cede a piccoli rituali superstiziosi.
Perché? Perché funziona, almeno secondo il nostro cervello!
Infatti “toccare ferro” non ha un effetto sulla realtà che ci circonda, ma influisce sulle nostre convinzioni.
La superstizione è sempre stata protagonista tra gli sportivi di ogni disciplina e categoria nei loro trionfi e nelle loro sconfitte.
Dal calcio ai motori, dal basket al triathlon ogni atleta che si rispetti ha i suoi piccoli rituali ed i suoi oggetti portafortuna per scacciare il malocchio e vincere la competizione, senza i quali è fermamente convinto che qualcosa andrà storto.
Pelè, dopo aver regalato la sua maglia ad un tifoso, non riuscì a giocare bene e se la fece restituire a tutti i costi.
“Non è che la superstizione aiuti a vincere le corse, ma contribuisce a farmi sentire meglio”. Queste sono le parole di Felipe Massa; come Max Biaggi che indossa sempre lo stesso paio di slip ad ogni gara, c’è la medaglietta di San Cristoforo in una scarpa di Sebastian Vettel, mentre Niki Lauda ha una monetina nei guanti.
Valentina Vezzali prima di ogni gara cerca sempre d’indossare qualcosa di rosso, mentre Rafael Nadal esige che le bottigliette d’acqua siano allineate e con le etichette rivolte verso il campo. E non solo: i calzini devono fuoriuscire dalle scarpe di esattamente 15 cm.
Tiger Woods deve giocare sempre con la maglia rossa, David Beckham odia i numeri dispari e tutto dev’essere simmetrico, dai tatuaggi alle lattine nel frigorifero. Stefania Belmondo ripeteva gli stessi esercizi fatti dopo la vittoria di una gara, indossando nuovamente vestiti, tute, scarpe e la stessa biancheria intima.
Qual è il meccanismo mentale per cui questi gesti sono così fondamentali?
Mettere in atto un gesto scaramantico o un’abitudine mentale serve a migliorare alcuni aspetti mentali come il focalizzare l’attenzione (soprattutto quando si ha un dialogo interno negativo che porta l’atleta a distrarsi), a ridurre l’ansia, a ritrovare se stessi, creare e mantenere l’attenzione sul “qui e ora” e a mantenere uno stato positivo.
Secondo lo psicologo Stuart Vyse «la superstizione è un’azione in contrasto con la scienza». Eppure milioni di persone in tutto il mondo continuano a credere che venerdì 13 porti sfortuna o che vedere un gatto nero sia segno di un cattivo presagio.
«Questo perché le superstizioni ci vengono insegnate fin da bambini – spiega Stuart Vyse, autore de “Believing in Magic: The Psychology of Superstition”, a LifeHacker – e fanno parte della tradizione popolare, svolgendo quindi un ruolo importante nel basilare processo di socializzazione. In aggiunta a ciò, c’è poi il fatto che viviamo in un mondo in cui non è possibile riuscire sempre a controllare tutto e, di conseguenza, le superstizioni diventano una sorta di rassicurante meccanismo di controllo per ridurre l’ansia e fare in modo che tutto funzioni nel modo giusto».
Un altro aspetto interessante delle credenze popolari è la loro natura apparentemente arbitraria. «Non c’è un riscontro razionale nell’avversione per il 13 o per i gatti neri o nel fatto che non si debba passare sotto ad una scala – sottolinea Tom Gilovich, professore di psicologia alla Cornell University – ma si è portati a crederci comunque, per il timore che, sfidando il destino, possa capitare qualcosa di ancora più brutto».
In conclusione, i gesti scaramantici nell’affrontare un campo gare aiutano l’atleta a gestire l’ansia e non solo, quindi perché non cercare quello che fa più al caso tuo?
Articolo a cura della dottoressa Miriam Rossi, psicologa-psicoterapeuta